Critiche
Dal Mito alla Realtà.
Di Roberto Franco
Mirta Maranca, pittrice emergente del panorama pittorico
nazionale, appartiene a quella categoria di artisti che costruiscono
la propria dimensione pittorica con tenacia e sacrificio nella perenne
ricerca di sensazioni, proprie della concezione oggettiva dell’arte,
crea immagini che, pur scaturendo dal suo intimo, riescono a coinvolgere
in maniera collettiva.
La sua pittura non è mai casuale, ma è frutto di ricerche
analitiche in molti campi della cultura nei quali spazia con figurazioni
mitologiche, interpretazioni poetiche di forze sconosciute, coinvolgenti,
invincibili nel loro mistero, dalle quali l’umanità
si è sempre sentita minacciata. Oppure spazia tra personaggi
letterari tormentati dalla continua ricerca del bello .
La Maranca, attratta dalle visioni mitologiche, le elabora e le
interpreta rendendole reali, attuali ed universali nel momento in
cui prendono forma sulla tela.
Le sue immagini, delicate e fragili, emergono con forza da colorazioni
accese, da azzurri marini o da profonde oscurità che s’inabissano
nell’ignoto, e dalla realtà della tela riconducono
al sogno.
Nelle incisioni dedicate al grande romanzo di Thomas Mann la poesia
diventa nel protagonista sensazione di un’oscura angoscia
proveniente dall’io interiore privato di risposte soddisfacenti
nella realtà materiale, poiché esse vanno cercate
in una sfera che esula dai limiti umani.
Ma la sua arte non è solo sogno e immaginazione, è
anche visione della realtà, di una realtà esaminata
e affrontata in funzione degli spazi e dei luoghi conosciuti, dove
l’analisi è psichica e temporale. La sua ricerca non
è mai legata ad immagini formali, le sue figure si trasformano
nella profondità dell’ignoto.Spesso i suoi dipinti
sono complessi, di una complessità che induce a riflessioni
e al superamento dell’atmosfera poetica. La poesia di Mirta
non appartiene solo alla sua intimità ma all’io di
un artista che crea per trasmettere sensazioni oggettive ed universali.
Nell’osservare le forme dei suoi personaggi si nota quell’archè
espressiva mai celata, ma che spinge prepotentemente verso l’esterno.
I suoi soggetti non sono mai espressioni di accademia formale, bensì
espressione di un quotidiano che va oltre il momento mitologico.
I soggetti della Maranca appartengono alla mitologia della quotidianità.
Nelle sue opere non si trova mai l’immagine posta solo per
l’apparire perché sono frutto della ricerca compiuta
dall’uomo sin dalle sue origini per definire e ridefinire
la propria identità adottata come codice della sua pittura
essenziale fatta di segni corposi, incisivi; segni che si evidenziano
con la forza dei colori, dove si manifesta la voglia di esprimersi
e comunicare. Quello di comunicare non è per la Maranca un
momento di consuetudine, ma un momento decisivo che assume dimensione
universale.
La pittura attuale della Maranca è essenziale, di una modernità
non stereotipata, fatta di una quotidianità appartenente
ai momenti salienti della globalizzazione.
Per tutti questi motivi e per le qualità artistiche della
Maranca le sue opere meritano di essere conosciute da un pubblico
disposto a valicare i confini nazionali per immergersi in tematiche
universali espresse con immagini affascinanti.
TESTIMONIANZE DI UN INCONTRO TRA CULTURE DIVERSE
Dino Del Vecchio
Nelle opere di Mirta Maranca relazioni complesse e sotterranee,
codificate alla pittura, ossia nei soggetti figurali di esotica
alterità, rivitalizzano sui registri della “citazione”
un lavoro indicativo di orientamenti individuali. In primo
luogo la concentrazione geografica prevalente nel recupero
della tradizione risuona forte e vitale nei personaggi man
mano che li leggiamo nei rapporti formali e distintivi di
altre genealogie.
Sicuramente guardando ancora forti ed aggettanti tessiture
cromatiche, al tempo stesso, saggi e sorvegliati equilibri
unicamente insistiti nel colore accordato sul paesaggio e
disposto in superficie la perentorietà dei toni, al
di là delle valenze simboliche, delle soluzioni formali
e dei non pochi risvolti immaginativi, sono piuttosto il segno
indicatore di una civiltà che restituisce al presente
immutati “luoghi del desiderio” che anche l’arte
regala.
Se il desiderio di manifestare i contenuti della realtà
in natura si palesa tramite l’immagine colta dalla realtà
soggettiva, il modo di sentire dell’artista mostra nella
susseguente coerente (ri)costruzione la presenza di elementi
che costituiscono la sintesi di qualcosa di nuovo. Dunque
per l’artista il vero habitat è un mondo sedimentato
di memoria antropologica; ove ciò che noi vorremmo
ci fosse restituito. Di certo, la scelta di campo è
sottolineata negli aspetti multiculturali della società
che si modifica inevitabilmente, e dunque anche l’arte
visiva si presta ad evidenziare quel desiderio di comunicare
con le immagini il complesso panorama culturale della storia
recente e globalizzata.
Le figure, su un soffice strato di sabbia o tra archeologie
e forme naturali, rivestite di stoffe colorate e originali
copricapo, affermano il carattere ludico di cui sono necessità
e visione una serie di ritratti che raccontano il difficile
rapporto tra la natura e ciò che noi semplicemente
definiamo “civiltà del progresso”.
La pittrice sceglie di rappresentare la realtà con
incursioni sostitutive: verso un universo parallelo in scene
liberate da ogni condizionamento esterno. Certo la scelta
nell’ultimo ventennio è stata condotta da molti
artisti alla collaudata linea iconica della forma e della
pittura, tra desiderio di naturalità e risoluzioni
positiviste, in quelle espressioni definite “figlie
del tempo” postmoderno e lontano dalla prassi concettualistica
in quanto esclusivo prodotto della mente.
Le elaborazioni di Maranca, accordate sapientemente sul primigenio
ruolo della natura e della tradizione identificata al nomadismo
culturale, o semplicemente ad un tramonto tra le palme verdeggianti
di un’oasi, rintracciano radici mediterranee.
Infatti ciò che sorprende è la ricostruzione
pittorica abitata da coloratissimi personaggi e concepita
come metafora del tempo multi-etnico in cui le civiltà
orientali-africane sono da noi concepite e recepite “fonte
di bellezza” in quell’affresco riverberante che
incrocia persone, animali, paesaggi mozzafiato. Le immagini,
sono il simbolo di una ricerca che indaga – risolta
in armoniosi dipinti – soggetti le cui soluzioni stilistiche
sono la testimonianza di un incontro tra culture diverse e
raccontano, divulgano forme espressive di altri linguaggi…universali
dell’arte.
Dunque l’arte vive in luogo della invisibilità/visività
e di ciò che non si conosce…
Infatti se pensiamo al flusso energetico che l’autentica
creatività porta con se grazie alla soggettiva interpretazione
arricchita alla fruizione estetizzante, l’orizzonte
su cui conclude l’investigazione è assertiva
di “geo-grafie”.
Senza dubbio il livello puramente formale nel lavoro di Maranca
conserva il glamour di una figurazione meditata sull’autorità
del colore; in particolare nella rappresentazione di personaggi
apparentemente privi di dramma. Ciò che sembra generarsi
nel pensiero dell’autrice è offrire a noi una
fabula come possibile parallelo al freddo grigio odierno nichilismo,
e de-scrivere i messaggi raccolti nel tempo dell’origine,
per il tempo neutro e della relatività dell’oggi.
L’azione creativa della pittrice, con le sue esperienze
culturali rappresenta una sorta di ideale repertorio attinto
anche da quelle Comunità inseritesi nella sua città
e nel territorio Abruzzese. Ma segnalano anche complesse problematiche
in ragione del “ritorno alla pittura” e alla “bella
forma” con sottolineature univoche, individuabili in
quelle dinamiche soggettive imprescindibili della psiche e
perciò dai risvolti esistenziali.
Il fascino di un paesaggio, dipinto o reale che sia, quando
deflagra luminoso e palpabile, o nella maestosità dei
fenomeni naturali, porta con se, tra realtà ed artificio,
la consapevolezza di dover mantenere intatta la natura senza
le nostre assurde violazioni.
Immersi in questi dipinti affini all’armonia, nonostante
le vibrazioni e la forza d’urto dei colori, sapientemente
risolti ad evocare la malia dei sensi tanto da diventare incantamento,
viene in mente Stendhal e il suo “Diario di un turista”
concepito per raccontare un suo viaggio in Italia. Anche Mirta
Maranca trasmuta sulla tela le sue esperienze di viaggiatrice
e dipinge con l’occhio vigile di artista così
presa dai suoni, dai canti, dalle danze, dalle sensazioni
nuove, rimirata la luce tersa dei cieli, le dune morbide del
deserto e i luoghi dove tutto sembra eterno, immutabile.
Un naturale impulso spinge Mirta Maranca ad interpretare,
con non poca inventiva, un viaggio attraverso il tempo e la
cultura, immersa in quelle atmosfere lontane da cui raccoglie
le sue immagini “traduzioni”. Letteralmente affascinata,
addirittura stregata lei stessa, avvalendosi della pittura,
compie un atto di fede raccontando “i fatti” dentro
i quali sono immersi alcuni personaggi, non senza una qualche
particolare affinità con le poetiche neo-classiche
il cui logo, il drappeggio, divenne verosimile segno di riconoscibilità.
L’artista che ha seguito con attenta partecipazione
la storia, dimostra d’intendere l’arte non solo
come lavoro soggettivo, ma incentrata sulla ricerca di uno
stile con punti di forza differenti (non ultima la perizia
tecnica).
Animate da figure in grado di suggerire movimenti tipici delle
danze, alcune opere interpretano ideali riflessioni –
stilistiche e poetiche – nelle dinamiche che conducono
lo sguardo ad identificare in ognuno dei particolari ciò
che l’artista ha colto sin dalle prime escursioni in
quei “lidi” con la maturata convinzione che la
sua arte, portata alla figurazione, tocca le più importanti
frontiere dell’immaginario. Ed ecco un modo di reagire
al mondo opprimente che ci circonda; in questa ottica la predisposizione
a credere ancora nella forma perfetta, unica ed insostituibile
espressione della bella pittura, reagisce all’intrusione
della tecnologia per recuperare l’unità anima-corpo
smarrita.
Gli sguardi dei personaggi posati sull’osservatore,
sui quali aleggia un sottile fluire della vita, come ad esempio
può colpire l’esibizione dei corpi nella straordinaria
pluralità di pose, sono precisati espressivi tra i
riflessi dell’acqua o il sudore della pelle. Anche in
tale visione agisce su di noi come una specie di “virus”
in quei mondi possibili e immaginati onirici dei nostri sogni.
Tali visioni, emblematiche sulla formazione simbolica e dai
contenuti ideali sono il frutto di una ricerca- ordinata nei
canoni formali e reali- su ciò che l’artista
trova, e vede…”altrove”.
Se tuttavia il ritorno al “dipinto a mano”, nelle
incarnazioni figurali di Maranca, sempre comprensibili, meditate
sull’immagine e sulla forma, porta avanti la “buona
pittura”, provoca anche domande sulla decadenza del
nostro mondo civilizzato.
Questa interpretazione, su quanto l’artista vuole veramente
comunicare con le sue pitture-icone-ritratti, non meno evidente
nei precedenti lavori, originali e sublimi di genere naturalistico,
si avvita sui dispositivi autoriali/soggettivi nascosti nel
mito referenziale commisurato estensivo nella rappresentazione,
le cui radici sono da ricercare in un lavoro coerente sul
piano della forma-pittura capace di resistere ai cambiamenti
epocali.
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DOPPIA IDENTITA’
Francesco Gallo
Doppia, a volte tripla, identità,
è quella che si sprigiona dalla tematica pittorica
di Mirta Maranca, che da tempo segue un suo filo di discorso,
basato sulla ricerca delle ragioni profonde dell’immagine
che sale dallo sfondo in genere sibillino, potenzialmente
rivolto sia all’affermazione, che alla negazione dell’uno
col tutto. Questo, con una coloristica forte che taglia (con
dei trionfi orizzontali o verticali che regalano atmosfere
dense di umoralità) la tela, in segmenti di forte tensione
plastica, a dispetto della stessa orizzontalità della
pittura, della sua contaminazione fumettistica che le viene
dalla Pop Art e dei suoi mille rivoli formali.
Prevale una visione mediatica nella sua pittura, in un ideale
confronto con i media che riempiono il nostro immaginario
e poi provvedono a svuotarlo, per poi riempirlo ancora, con
un alone di magia che si tramuta in schizofrenia, in una escursione
che va dall’originario e dal mitico, per arrivare all’originale,
alla metafisica del quotidiano.
Mirta Maranca contamina la sua pittura con le suggestioni
di tanti linguaggi espressivi che fa tutti confluire nella
sua ricca psicologia della forma che si adatta a diventare
tutto quello che lei vuole, mostrando una saldezza che è
pari all’elasticità.
In questo senso, siamo in una pittura vera, che ha la sua
cifra espressiva precisa, capace di potersi confrontare con
tematiche forti, di quelle che richiedono una capacità
di entrare nell’altro, senza perdersi, anzi per arricchirsi
di una nuova esperienza e marcare la propria presenza, la
propria singolarità.
La qualità di duplicarsi, triplicarsi, è manifestazione
di forza, di un saper stare tra gli altri e non è una
cosa, di per sé, facile, pensando alla difficoltà
di un saper vedere, in un universo in cui l’essere tutto
immagine, comporta, una negazione stessa della sua espressività;
la pittura di Mirta Maranca è ricca di riferimenti
culturali al mondo dell’eros, inteso latu sensu, come
volontà e rappresentazione di un avvolgimento, di uno
stare insieme a tutto quanto esprime attrazione, piacere,
dilatazione dei sensi fino a coprire l’intera corporalità
virtuale di cui essa è protagonista.
In questi anni è stata anche impegnata, e lo è
tutt’ora, nella costruzione di una sua capacità
di dialogo, che superasse il lirismo del monologo interiore,
dedicandosi, oltre che alle sferzate che le provengono dalle
sue esperienze e rimozioni personali, ad una attività
critica di pittura su pittura o di pittura su parola.
Mirta Maranca dimostra di essere un’artista a tutto
tondo, le cui opere possono considerarsi documenti del nostro
tempo, visti dalla sua particolarità femminile che
decanta gli aspetti limacciosi presenti in ogni pretesto pittorico
e accoglie tutto l’apollineo possibile e tutto il dionisiaco
immaginabile.
Il transito metaforico fa da retroterra alla sua pittura,
simulandosi da contenitore ideale dei suoi silenzi che fanno
da agente purificatore alle icone, allo specchio che in essa
sono contenute, dilatandole e facendole sembrare enigmi del
mondo interiore, al di là di ogni somiglianza con l’altro
da sé, al di là di ogni compassione di tipo
citazionistico, da pittura colta o da spirito narcisistico.
Il fondo classico le appartiene stabilmente ed emerge dai
mille particolari che infittiscono la trama delle opere, facendole
diventare protagoniste di se stesse, per la possibilità
di affrontare nodi della comunicazione, con un linguaggio
espressivo per eccellenza, raffreddando gli spiriti bollenti
del dover dire in favore di quelli del saper dire.
La perturbazione romantica che l’accompagna, si erge
come reazione agli stimoli congiunti del reale e del fantastico
che si coniugano, ora come reale-fantastico, ora come fantastico-reale,
assumendo le vesti della potenza e della leggerezza.
La calligrafia pittorica di Mirta Maranca testimonia di un
lavoro di pulizia della sua pittura, una raccolta d’energia
che va verso l’essenzialità, la rarefazione del
segno e la purezza del colore e questo si avverte in senso
alto, come trasparenza di forma e di contenuto, come dilatazione
del vedere e del piacere.
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LA SINTONIA DEL COLORE DI MIRTA MARANCA
Mariarosaria Belgiovine
L’arte di questa giovane pittrice
si destreggia tra notevoli argomentazioni filtrando opere
mnemoniche restituite alla realtà con un armonico segno
creativo.
Ella non lascia nulla all’approssimazione, ma si identifica
con il dialogo descrittivo, esplorando con la fantasia la
magia dell’azione mitologica.
La ricca raccolta di opere dimostra un’ottima vena pittorica
che scaturisce da una creatività capace di trasformare
le immagini poetiche del Mito in emozionanti figure dall’aspetto
tangibile, fortemente evidenziato dalla bravura nel fondere
colore e segno; nella capacità di creare atmosfere
vaporose nelle quali sono immersi i protagonisti del mondo
fantastico; nel tradurre la capacità osservativa mediante
pennellate energiche e colori accesi, elementi che staccano
le visioni sognate dallo spazio ristretto della tela e le
introducono nel mondo reale.
Nelle opere dedicate ai grandi maestri osserviamo l’assoluta
competenza segnica, stupenda per gli inquietanti sguardi dei
personaggi evocati, collocati, come apparizioni, tra le opere
che ne rivelano lo spirito e la grandezza.
Ella compone le sue opere riflettendo su logiche personali,
creando lavori dalle uniche interpretazioni, con effetto visivo
immediato ed intuibile, in uno spazio temporale fra il vero
e il fantastico.
La costante del colore è significativa poiché
lascia emergere la conoscenza delle mescole, attive ed essenziali
nella gestione della simbologia comunicativa. Con esse Mirta
Maranca esprime con decisione ed equilibrio il mondo dei suoi
personaggi senza tempo.
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Mirta Maranca, artista a tutto
tondo.
Angelo di Maida
Trovo la pittura di Mirta Maranca
molto interessante e penso che sia giusto annoverarla tra
gli artisti emergenti a livello nazionale.
Artista di grande sensibilità ed estro, dopo i primi
studi al Liceo Artistico di Pescara, frequenta l’Accademia
di Belle Arti di Roma e poi l’Accademia di Urbino,
due città imbevute di arte classica e rinascimentale.
Lo studio della Storia dell’Arte, per la quale ha
sempre sentito molta attrazione , la porta a visitare musei
di arte antica e mostre di arte contemporanea, di cui queste
città abbondano. E’ forse qui che la sua passione
per la figura umana diventa così forte da ispirarle
creazioni aventi come tema il Mito greco. E, di conseguenza,
lo studio approfondito del Mito le fa considerare quanto
quelle vicende, nelle quali virtù e difetti umani
prendono forma di divinità, siano universali, non
solo riferite ad una sola civiltà .
Il suo figurativo, dotato di caratteristiche coloristiche
che ricordano l’Espressionismo Tedesco, si mescola
alla personale visione dei soggetti e al caratteristico
segno incisivo, conferendo ai dipinti una grande carica
di forza espressiva, pur nella compostezza delle figure,
emule della imperturbabilità degli dei, ed un fascino
particolare per la bellezza attinta dalle statue greche
spesso trasferite sulle sue tele per esprimere le vicende
narrate, vedi “La Vendetta di Apollo”, “La
preghiera di Achille a Teti”o “La Sconfitta
di Venere”, mentre “Calcante” prende le
sembianze di un uomo contemporaneo che ammonisce i moderni
profeti sui pericoli che corrono e sulla necessità
di procurarsi validi protettori”.
Dalla personale esperienza, rafforzata dalla lettura della
“Morte a Venezia”, il romanzo di Thomas Mann”,
si accorge di quanti problemi abbia un artista, e nella
sua cartella, con lo stesso titolo, in sette belle incisioni
calcografiche, rappresenta le fasi salienti delle problematiche
poste dallo scrittore.
Certo non è facile per un artista perseverare, con
sempre più testardaggine, nell’esprimersi usando
la figura umana nella nostra società che, presa dalle
mode, per altro di breve durata, fa preferire l’Informale,
anche per un discorso commerciale. Ma Mirta non se ne cura
e continua imperterrita a sviluppare il proprio pensiero
a modo suo , anche se le opere dei pittori della Transavanguardia
l’affascinano al punto da dedicare ad alcuni di loro
dei ritratti: a Mimmo Germanà,, Mimmo Paladino, Sandro
Chia, Enzo Cucchi; in seguito a Fernandez Arman, Mark Kostaby,
Mario Schifano, Aldo Mondino, Roy Lictenstein,Andy Wharol,
Luca Alinari, e tanti altri, a dimostrazione che Mirta Maranca
non è un’artista egoista e fanatica, ma è
aperta ad altre esperienze artistiche e a tematiche del
mondo contemporaneo, sempre rispettando quello che ha dentro
di sé nella coloristica e nel segno, come dimostrano
i quadri con scene di varia cultura: la vendita delle spezie,
la raccolta del sale e una serena giornata di svago sulle
rive del mare ecc.
Il suo spaziare tra personaggi della classicità e
nello stesso tempo della nostra epoca storica, la sua capacità
di commuoversi di fronte alle problematiche umane, apparentemente
superate nella contemporaneità, ma che ancora, per
vie trasversali, sono creatrici di disagi e sofferenze,
mi sorprende e mi affascina.
Ammiro anche la sua poliedricità , quel suo mostrare
la propria emotività attraverso una passerella di
personaggi che sembrano non avere legami tra loro, alcuni
ritenuti dei superficiali fantasmi di tempi remoti, non
più validi, inattuali, ma che, riprendono consistenza
nella sua pittura per raccontare storie antiche molto vicine
a noi, dimostrando il coraggio di affermare le proprie opinioni,
che piacciano o meno.
Per concludere, ritengo Mirta Maranca simile ad un compositore
di musica che mette sullo spartito delle sue tele pennellate
come note, per creare efficaci armonie.
Angelo Di Maida: gallerista,
2008
Sotto un unico cielo.
Migliaia di civiltà
, ma un’unica cultura,
come unico è il cielo sotto cui viviamo.
Ivan D’Alberto.
In quei tempi, molti avvertivano che gli dei, sia quelli
antichi,
greci, romani, sia quelli nuovi ( ma in realtà antichissimi)
venuti dall’Oriente, stavano morendo. C’era
come una
lesione sottile e dolorosa nella loro figura.Qualcuno ripeteva
posseduto da uno scetticismo sempre più profondo
che era tempo
di non scrutare più gli spazi celesti, i destini
e i segreti dell’universo…
Ma in altri, come nel mio oscuro letterato platonico,
questo lutto imminente per la morte degli dei spingeva a
occuparsi
soltanto di loro…
……………………………………………………………………
Visitava le antiche regge carbonizzate
e le tombe degli eroi,
le selve formate dalle colonne dei templi,a metà
abbattute ma ancora maestose .Contemplava le antiche statue
di legno e le pietre sacre- e un brivido gli faceva comprendere
che, li,
il divino era ancora vivente.
Da Luce della notte
Di Pietro Citati. Milano 1996
In uno degli angoli della città, di quelli che molti
definiscono periferia o addirittura area metropolitana,
anche se la metropoli non esiste, trova sede un “cubo”
in cemento soffocato dai palazzi circostanti e dal rumore
del traffico. All’ultimo piano una grande stanza illuminata,
incastonata tra cielo e terra , è qui che Mirta Maranca,
fautrice dell’arte, scopre il mondo e i suoi protagonisti:
gli uomini nelle loro molteplici sfaccettature. L’analisi
dell’artista pescarese conduce a singolari teorie
come quella metaforicamente definita del “caos”
da cui si estrapola il concetto dell’effetto farfalla.
Tale espediente pur non essendo utilizzato nel campo dell’arte,
rappresenta un ottimo accorgimento per descrivere le scelte
creative di Mirta Maranca la quale si muove su diverse tematiche
che si accumulano nello spirito dell’uomo: la fede,
il sogno, la storia e le tradizioni. L’effetto farfalla
rileva come nella maggior parte dei sistemi biologici, fisici
e sociali, esistano degli elementi che apparentemente insignificanti,
sono in grado, interagendo fra loro, di propagarsi e amplificarsi
provocando particolari conseguenze. I risultati artistici,
raggiunti da Mirta Maranca, derivano da determinate passioni
come la lettura di opere classiche, ma anche contemporanee,
dal profondo fascino, che l’artista pescarese subisce
dalle civiltà antiche ma, allo stesso tempo laboriose,
attente ai fenomeni della natura e curiose del mondo circostante.
Questi aspetti, combinandosi con l’animo, la sensibilità,
la professionalità e con la tavolozza brillante di
Mirta Maranca hanno determinato sorprendenti risultati:
visione contemporanea del concetto di mito e dei misteri
dell’io attraverso l’illustrazione del romanzo
“ La morte a Venezia” di Thomas Mann. Nelle
ricerche di Mirta Maranca però, troviamo anche l’analisi
dei sentimenti umani attraverso i ritratti e lo studio antropologico
di popolazioni indigene, ultima fase creativa dell’artista
abruzzese. Mentre Mirta Maranca nel suo “ cubo Pescarese”è
intenta a focalizzare sulla tela una danza tradizionale,
contemporaneamente in una parte del mondo, c’è
chi pratica dei rituali e, mentre Mirta Maranca legge il
mito di Omero, forse sull’Olimpo, c’è
ancora qualcuno che si diverte a far girovagare, per mare,
uno sventurato capitano. Ed è così che l’effetto
farfalla, “affascinante speculazione”, diventa
strumento singolare per raccontare l’arte di Mirta:
espressione nella quale trova sempre un denominatore comune
il mito, la favola.denominatore che in una prima analisi
può apparire assurdo e privo di logica ma, dietro
l’apparente assurdità, trova importanti valori
culturali e sociali: essi si riferiscono ad alcuni riti
o istituzioni sociali del popolo cui il mito appartiene.
Il mito o la favola non è quindi puro frutto della
fantasia: l’uomo osserva la realtà e, usando
le proprie facoltà mentali ne fornisce una spiegazione.
Il mito, in questo modo, offre all’uomo l’illusione
di poter comprendere l’universo senza fornirgli, però,
la possibilità di esercitare un maggior controllo
materiale. Anche lo studio antropologico di civiltà
indigene affrontato ultimamente da Mirta Maranca, rappresenta
una lente d’ingrandimento su mitologie più
semplici come quelle africane. La santeria ad esempio, non
ha nulla da invidiare a quella classica di tradizione greco-romana:
gli orisha, divinità – cubane, ricordano molto
da vicino gli dei dell’Olimpo perché coacervi
di vizi e difetti umani. Musiche tribali, scandite da colpi
di sabar e cora, si mescolano alle melodie delle arpe e
dei flauti degli dei greci raccontati nella galleria di
Mirta Maranca. E’ così che migliaia di civiltà
trovano un’origine comune e vivono legate da un’unica
cultura sotto un unico cielo come unico è il cielo
sotto cui viviamo. A rendere gli studi dell’artista
pescarese avvincenti e catalizzanti è sicuramente
il colore, la luce e la forza del segno: essi affondano
le proprie radici in un linguaggio espressionista con forti
richiami alla pittura di Derain, Kirchner e Munch in cui
le note grafiche e coloristiche, alludono alla continuità
del tempo, al trascorrere della vita, all’instabilità
del destino ingabbiato in rigidi simulacri di ieri e di
oggi. Una tavolozza quella di Mirta a volte violenta e a
volte inquietante; i rossi sembrano arrivare dalle viscere
della terra, i blu e i viola dall’universo più
lontano e i neri dall’animo mefistofelico del nostro
peggior nemico. Raggi di luce, solfatare, blu metano e verde
acido corrodono le tele illustrative di Mirta Maranca, descrivono
civiltà lontane e primitive attraverso uno spirito
attuale e sibillino.
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